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Pea Trolli

"Cerco la profondità nelle cose, fino a raggiungere la linea"

É nata, vive e lavora a Milano.
Nel 1970 consegue la maturità presso il Liceo Artistico Orsoline di San Carlo.
Nel 1976 si laurea in Architettura presso il Politecnico di Milano.
Dal 1970 al 1997 segue i corsi di pittura presso l’Atelier del pittore Luigi Lomanto.
Nel 1992 insieme alle pittrici Rita Carelli Feri, Renata Ferrari, Cinzia Merchiori, Emanuela Volpe, tutte allieve dell’Atelier Lomanto, fonda il Gruppo Artemisia.
Dal 1974 al 2015 insegna Educazione Artistica presso diverse scuole medie di Milano e hinterland.

Testi critici

“Pea Trolli, per esempio, la più dissimile e la più autonoma fra le artiste di Artemisia: a cominciare dalla scelta dei formati e dei supporti, che generalmente per lei sono soltanto foglietti di carta piccoli o addirittura piccolissimi, cosette (in apparenza) buone per appunti e per schizzi. Ma Pea dello schizzo a fatto una forma poetica: i suoi sono quasi degli haiku della memoria, delle arti e delle emozioni, che vanno osservati insieme, ma con il rispetto e la concentrazione dovuta a grandi quadri. In essi non c’è niente di approssimativo ma c’è la capacità, che pochi disegnatori hanno, di raccogliere l’essenziale di una figura (prediletti i musicisti,suoi amici e compagni nella strada della vita) in pochissimi e chiarissimi elementi impostati di getto, senza possibilità di errore, senza possibilità di correzione. Non consente ripensamenti, infatti, la china, l’acquarello. E’ una pagina di diario senza pretese che non sia la verità di un attimo irripetibile , di quegli ” irrecuperabili colori del cielo” tanto amati da Borges. Apparsi per esistere un attimo. “

Martina Corgnati

Pea Trolli svela, di ogni corpo all’opera, la sua architettura originaria, la sua struttura portante e importante. Un semicerchio a disegnare la calotta cranica, un angolo acuto a fermare il gomito del violinista mentre suona, una piccola “c” a schiudere una bocca, un tratto di semiretta morbida a dividere, con il naso, il volto in due campiture, i lati obliqui di un trapezio a scontornare un busto, due puntini a identificare gli occhi, ma ecco il miracolo del tratto: sono punti, e sono espressivi. E ancora, frammenti esaustivi di cerchi, segmenti, vettori e cupole, scheletri perimetrali di figure che insieme compongono il suo personalissimo alfabeto espressivo, la sintassi compositiva di chi, padroneggiando senza alcuna velleità esibizionistica l’arte del costruire, restituisce con grazia la leggerezza di una decostruzione alla ricerca dell’essenza strutturale di un corpo in azione mentre interpreta ed esegue un brano musicale, oppure quando, concentrato, medita, immagina, fantastica, prova a distrarsi mentre posa, malcelando un misto di attesa febbrile e di sorpresa, per lo stesso fatto di essere sul punto di diventare opera, opera d’arte. Le linee di Pea, nella loro esilità e rastremazione perentoria, senza sbavo né sfumatura, ispessimento o calco, separano l’essere dal nulla. Rimandano alla nostra fragilità e insieme alla nostra indelebile unicità.

Cristina Muccioli